Quella della cosiddetta “neutralità di genere” è uno dei temi più delicati e più importanti nell’agenda politica dei diversi Paesi internazionali. La Comunità Europea è stata una delle prime istituzioni politiche e governative ad interrogarsi su questa tematica: già nel 2008, infatti, l’allora Segretario General Harald RØMER firmò un documento in cui sanciva l’impegno dell’Europa all’utilizzo di un linguaggio neutro dal punto di vista del genere in tutte le sue pubblicazioni e comunicazioni ufficiali, sia scritte che verbali. Ma che cos’è la neutralità di genere, come si esplica e perchè è così importante dal punto di vista sociale, politico e culturale? Cerchiamo di capirlo meglio insieme.
La neutralità di genere: cos’è e perchè è importante difenderla
La “neutralità di genere” consiste nell’utilizzo di un linguaggio che non abbia nessuna connotazione discriminatoria, offensiva o di parzialità verso uno o l’altro sesso. Alcuni potrebbero confonderla con il linguaggio “politically correct” ma in realtà il linguaggio neutro dal punto di vista del genere ha risvolti molto più profondi sotto il profilo politico, culturale e sociale.
Il linguaggio, infatti, è strettamente collegato alla percezione e alla comprensione che abbiamo di noi stessi e del mondo che ci circonda: il linguaggio è l’espressione esterna di ciò che abbiamo all’interno ed è il principale modo tramite cui comunichiamo con gli altri, ci informiamo, lavoriamo, studiamo, stringiamo relazioni sociali e professionali. Il linguaggio, dunque, condiziona la nostra percezione del sé e la nostra visione della realtà per cui abituarci ad usare termini che siano neutri ed imparziali ci abitua fin da piccoli a rispettare gli altri e a considerarli nostri pari, al di là di qualsiasi differenza di genere, sesso, cultura o di razza.
Il linguaggio neutro e le differenze linguistiche dei Paesi UE
La Comunità Europea ha spronato più volte gli Stati membri ad adottare linguaggi imparziali e neutrali sia sotto il profilo del sesso che della razza e di qualsiasi altra variabile etnica, sociale o culturale. Per far questo, ha pubblicato delle linee guida cui tutti i paesi della UE sono chiamati ad uniformarsi.
D’altro canto lo stesso Parlamento Europeo ha sottolineato più volte la necessità di tener conto delle diversità e delle sfumature linguistiche dei vari idiomi europei: alcune espressioni, infatti, che sono consone ed appropriate in determinate lingue vanno necessariamente cambiate in altre poiché risulterebbero offensive e discriminatorie agli occhi dell’opinione pubblica di un determinato Stato. Ne è un esempio la parola “uomo” o “uomini” che in alcuni idiomi- come l’italiano- viene utilizzato anche in modo generico per indicare le donne, come nell’espressione “il cane è il migliore amico dell’uomo”, “a misura d’uomo” oppure “i diritti dell’uomo”. In altre lingue come l’inglese, invece, si preferiscono espressioni neutre come “human rights”, ossia i diritti umani poichè usare la traduzione letterale “men’s rights” risulterebbe discriminatorio e sessista.
Il Parlamento europeo ha sottolineato l’importanza di evitare anche qualsiasi appellativo che potrebbe definire lo stato civile di una persona, ad esempio “signora” o “signorina”, preferendo l’uso della professione, ad esempio: la segretaria, la professoressa, la dottoressa etc.